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Branding: raccontarsi per vendere

Non possiamo parlare di Mozart, Beethoven o dei Pink Floyd senza prima spiegare che cos’è la musica. Allo stesso modo, il branding è solo una parte, per quanto fondamentale, di quel mondo complesso, irrazionale e a volte contraddittorio che è il marketing.

Prima del branding: il marketing

Come si potrebbe definire il marketing in sintesi e senza omettere niente di necessario? Ci proviamo così. Il marketing è l’insieme di tutte le attività che un’impresa compie per entrare in contatto con il mercato, creare relazioni profittevoli e vendere i suoi prodotti o servizi. Si tratta di una definizione piuttosto generica ma che, nella sostanza, descrive in maniera abbastanza accurata quest’attività.

Un’azienda, per esistere e sopravvivere, non può non creare una relazione con il mercato. Bisogna analizzarlo per conoscere quelli che saranno o potrebbero essere i propri clienti, sviluppare la propria proposta in un ambiente ricettivo, non nel vuoto pneumatico o in una torre d’avorio lontana dalla realtà. Decidere, oltre alle caratteristiche del prodotto, quale sarà il prezzo, i canali di distribuzione, come impostare la comunicazione. Tutto questo è, in estrema sintesi, il compito di chi si occupa di marketing: capire come creare relazioni profittevoli.

Cos’è il branding

Nel contesto della comunicazione, per branding si intende la creazione del brand, cioè dell’identità dell’azienda o del prodotto in modo che possa fissarsi nella mente delle persone. Se il brand è l’immagine che la persona percepisce, l’insieme delle sensazioni, delle emozioni e dei concetti associati all’azienda e al prodotto, il branding è la strategia messa in atto per sviluppare questa immagine.

Secondo Philip Kotler, probabilmente la più nota autorità in fatto di marketing, fare branding significa dare ai propri prodotti e servizi la forza di un brand: cosa vuol dire, in concreto?

  • Poter contare su un buon prodotto (una condizione necessaria, anche se precedente al processo);
  • definire gli scopi per i quali esiste l’azienda, i valori cui si ispira, le promesse che vuole fare ai clienti e che s’impegna a mantenere;
  • posizionarsi sul mercato e differenziarsi dalla concorrenza;
  • sviluppare una chiara e possibilmente sempre riconoscibile identità, sia dal punto di vista visivo che verbale: nome, logo, colori, tono di voce, slogan;
  • definire eventuali partnership commerciali con altri brand, per rafforzare le rispettive identità (molto comune nel mondo dei motori e della moda, per esempio);
  • definire i canali di comunicazione e le rispettive strategie: internet, TV, radio, carta stampata…

Perché fare branding per bene

La risposta a questa domanda può apparire banale e forse lo è a livello astratto, concettuale: un brand deve fare tutto il possibile per essere ricordato dalle persone, per diventare la prima scelta (o forse la seconda, come ammetteva molto candidamente l’agenzia di autonoleggio Avis); per far sì che tutto il resto venga messo in secondo piano, come il prezzo o il confronto con i concorrenti, perché il consumatore si identifica con i suoi valori, con tutto ciò che rappresenta. Quanti di noi preferiscono una marca di scarpe a un’altra confrontando oggettivamente una serie di parametri (comodità, resistenza, impermeabilità…) e quanti invece preferiscono scegliere un’idea, uno stile, uno status?

Lungo la via per raggiungere quest’obiettivo, il brand deve mostrarsi credibile, coerente con la narrazione che fa di sé. Se il compito di chi fa branding dev’essere tenere vivo l’interesse del pubblico, il compito (ancora più importante) della stessa azienda dev’essere comportarsi bene. Un esempio pratico: se vendo vestiti made in Italy e mi pongo agli antipodi di una qualsiasi multinazionale dell’abbigliamento, molto aggressiva nei prezzi, voglio che la mia narrazione sia coerente: ai prezzi più alti dei miei prodotti corrisponderà, per esempio, una filiera interamente made in Italy, il rispetto dei diritti sul lavoro dei dipendenti…

I principali strumenti che ha a disposizione un brand, come le parole e le immagini, vanno quindi sfruttati per raccontare storie, creare emozioni, ma non solo. Abbiamo detto poco sopra che un’azienda e un prodotto devono entrare in contatto con il mercato: soprattutto oggi, quando si sono moltiplicati i canali per raggiungere il pubblico e per dialogarci alla pari, i brand hanno la possibilità di instaurare delle relazioni sociali con le persone. Di andare oltre la pagina di giornale, lo spot audiovisivo o il manifesto sulla strada provinciale.

Il branding, i social e Sebach

Da almeno un decennio, i social network non sono più l’equivalente di una piazza o di un bar: potremmo paragonarli a un enorme Panopticon o centro commerciale, nel quale le persone continuano a incontrarsi ma sotto gli occhi vigili dei brand.

Sebach non è esattamente un prodotto che ci aspetteremmo di trovare in un centro commerciale, tra vetrine o stand promozionali: tuttavia anche i prodotti B2B, soprattutto quando gli “utilizzatori finali” fanno parte del pubblico generalista, vanno raccontati. Dando un po’ di sostanza alla teoria di cui abbiamo parlato, ecco come abbiamo sviluppato il racconto di Sebach.

Partire è stato relativamente semplice: Sebach è il leader di mercato, nel noleggio dei bagni chimici, e la qualità del prodotto non è in discussione.

Lo scopo dei prodotti è offrire una soluzione pratica ed efficiente per sopperire all’assenza di servizi igienici fissi, a prescindere dal tipo di ambiente. Il target è dunque relativamente vasto ed eterogeneo (dalle imprese di costruzioni agli organizzatori di eventi, e tra questi si possono distinguere tra situazioni più informali e contesti più eleganti) ma il bisogno da soddisfare è uno solo, molto specifico.

Il posizionamento rispetto alla concorrenza rende il brand più memorabile degli altri. L’uso largo e oculato dell’ironia, l’attenzione alle news e alle tematiche sociali non toglie spazio al prodotto, anzi: serve per inserirlo in un sistema di valori ben preciso. Valori che partono dal core business di Sebach, cioè la gestione e il corretto smaltimento dei liquami, e che viaggiano sui binari dell’ecosostenibilità, dei comportamenti più corretti tra persone e ambiente, e tra persone e persone, per arrivare a curiosità sui bisogni (sociali e fisiologici) degli esseri umani.

L’identità visiva è altrettanto iconica: un cuore capovolto è pur sempre un cuore, ma rappresenta il principale punto di contatto tra il consumatore e il prodotto! Con questo spirito, faceto ma sincero, si sviluppa anche la comunicazione social del brand con lo scopo – per chiudere il cerchio – di creare una relazione profittevole con il cliente. Un target secondario, certo, ma anche quello primario (le aziende) sono fatte di persone.

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