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La conversione, da percorso lineare a matassa da sbrogliare

Conversione: una parola che, in tutte le possibili accezioni e nei diversi ambiti in cui è presente – dalla chimica alla logica, dall’economia alla religione, indica un importante cambiamento di stato, reversibile oppure no. Anche nel mondo del (web) marketing il cuore del significato non cambia.

Cos’è una conversione

Nel (web) marketing, infatti, la conversione indica quell’azione specifica e soprattutto misurabile che una persona compie, dopo essere stata esposta a un messaggio, uno stimolo: un cambiamento nel suo atteggiamento, che diventa interessato a tal punto da generare un’azione.

La conversione dipende quindi dall’obiettivo della propria strategia di marketing: conversioni possono essere, ad esempio, l’iscrizione a una newsletter, scaricare un’app, acquistare un prodotto o un servizio in abbonamento. Generalizzando, potremmo dire che ciò che si definisce conversion marketing è più semplicemente marketing: una delle leve necessarie per portare il prodotto dallo scaffale al carrello, passateci l’espressione.

Tipi di conversioni

Se è vero che diverse azioni si possono definire conversioni, è opportuno distinguere due gradi di conversione, in base al grado di importanza dell’azione da compiere.

Se, ad esempio, dobbiamo convincere un potenziale cliente a iscriversi a una newsletter tematica a pagamento, potremmo chiedergli i suoi dati personali e regalargli in cambio una settimana o un mese di abbonamento: l’attivazione di questa prova gratuita è una micro-conversione. L’eventuale successivo acquisto dell’abbonamento, invece, rappresenta una macro-conversione, l’obiettivo finale che segue all’obiettivo intermedio.

Conversioni e funnel

La conversione dovrebbe rappresentare la fine del funnel, il culmine di quel percorso che – idealmente – porta un cliente potenziale a diventare prima interessato (awareness, interaction e desire) e poi cliente vero e proprio (action). Semplificando brutalmente: clicchiamo su un annuncio pubblicitario, navighiamo sul sito dove atterriamo, impariamo a conoscere il brand e compriamo il prodotto. Questo modello, che potrebbe rappresentare la fortuna di tutti i marketer, in realtà non riesce a descrivere quello che succede nella maggior parte dei casi. Una descrizione più realistica di come le persone decidano se e come acquistare un prodotto la dà la stessa Google: messy middle.

Spiega Google: “Il modo in cui le persone prendono decisioni è caotico […]. Sappiamo che quanto avviene tra il primo trigger, ovvero il primo stimolo che innesca il funnel, e l’effettiva decisione di acquisto non è lineare e che si tratta di una complicata rete di touchpoint che cambia da una persona all’altra. Quello che conosciamo meno è in che modo gli acquirenti elaborano tutte le informazioni e le opzioni che incontrano durante il percorso”.

L’ideale imbuto del modello AIDA, quindi, diventa un viaggio che può apparire confuso: siamo esposti a tanti stimoli pubblicitari, stiamo per acquistare un prodotto ma poi ci ripensiamo, lo teniamo nel carrello per un tempo indefinito, ce ne dimentichiamo per un po’. Poi magari lo compriamo, magari su Amazon piuttosto che sull’e-commerce del brand.

Se il percorso che compiamo quando cerchiamo informazioni e poi compriamo qualcosa è così tortuoso, allora, come è possibile provare a controllarlo e indirizzare un prospect sulla via dell’acquisto?

Creare contenuti che “convertono”

Creare contenuti che convertono vuol dire imparare a conoscere il proprio pubblico, conducendo le opportune ricerche e analisi di mercato, immedesimarsi in esso – ma con il giusto distacco, al tempo stesso e bilanciando intuito e opinioni personali – e creare una strategia che riesca a coinvolgerlo soprattutto nel lungo periodo.

Facciamo un esempio: il proprietario di una libreria online specializzata in saggistica cinematografica (un ambito relativamente specifico) potrebbe comportarsi in questo modo:

  • analizzare le ricerche del suo target, presumibilmente studenti, docenti, professionisti del cinema o cinefili, magari concentrandosi sulle long tail keyword;
  • offrire dei contenuti che attirino e leghino il pubblico al suo brand e al suo sito, al di là del semplice catalogo: un blog o un ecosistema social in cui si raccontino le ultime uscite, si recensiscano dei grandi classici, si dia spazio alle opinioni dei lettori o si ospitino interviste agli autori;
  • essere consapevole del messy middle e ricordarsi che il branding è un processo continuo, sotterraneo, come l’acqua che scava la roccia: non avviene “prima” della fase “performance” perché non finisce mai.

Alcuni dei nostri progetti

Oper

Il lavoro che abbiamo fatto per Oper, l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna, è consistito nell’avvicinare la figura dello psicologo al pubblico generalista, in particolar modo in un periodo delicato come lo scoppio della pandemia.

Troppo spesso questa figura professionale viene considerata in un modo improduttivo, a causa degli stigmi che associamo al malessere o ai disturbi psicologici.

Tanti di noi, infatti, considerano una sconfitta chiedere l’aiuto di uno psicologo, quando in realtà è proprio il contrario: si è raggiunta la maturità e la consapevolezza per rivolgersi a un professionista.

Quello che abbiamo realizzato, quindi, si può sintetizzare in questo modo:

  • un piano editoriale social che raccontasse, per sfatarli, i più comuni falsi miti sul mondo degli psicologi;
  • una campagna Adwords geolocalizzata in Emilia Romagna
  • una landing page che, in maniera chiara e succinta, spiegasse la funzione dello psicologo e l’utilità concreta di un colloquio e un trattamento;
  • una campagna social ADV aggressiva, che ha generato un gran numero di click “qualificati”  e conseguenti interazioni sulla landing page: ognuno ha potuto trovare uno psicologo vicino a sé.

Bellini

Quella del mobilificio Bellini di Ferrara è una storia che, a raccontarla, sembra inverosimile. Fare (web) marketing per bene, tuttavia, dimostra che è possibile raggiungere gli obiettivi che ci si pone. Obiettivi che possono sembrare irrealizzabili ma che invece sono realistici. Ci vogliono impegno, competenza e un prodotto di alta qualità alla base, ma si possono raggiungere.

In breve: il mobilificio, che pure vendeva (e continua a farlo) mobili made in Italy di alta qualità e a prezzi non proibitivi, non aveva un grande seguito. Complici un’anonima identità di marca, una comunicazione trascurata e una zona periferica non facilmente raggiungibile, il pubblico faticava ad accorgersi di Bellini.

Al termine di un’accurata attività di rebranding, del rifacimento del sito e dell’ideazione di un divertente e funzionale piano editoriale social, Mobili Bellini è diventato il più noto mobilificio della zona, tanto da raggiungere la Serie A come sponsor della SPAL.

Il percorso del mobilificio, però, non è ancora concluso: è infatti iniziato l’allargamento del bacino di clienti da Bologna a tutta l’Italia.

syncronika

 
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