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Comunicare sui social nel 2021

La comunicazione e la pubblicità sui social non sono poi così diverse da quelle offline. Obiettivi, strategie, strumenti adatti: i fondamentali sono sempre gli stessi.

I social prima dei social

Cos’era internet prima dei social network come li conosciamo oggi?

Non è semplice rispondere a una domanda come questa. In primo luogo perché potremmo definire social network, magari ante litteram, qualsiasi strumento che metta in comunicazione persone distanti fisicamente.

Procedendo a ritroso nel tempo e forzando leggermente il vocabolario, potremmo chiamare in causa MySpace, MSN Messenger, le innumerevoli chat generaliste o i forum tematici che, tra gli anni ‘90 e i primi 2000 facevano nascere o naufragare amicizie a distanza.

Tralasciando l’evoluzione tecnologica, cosa è cambiato allora fra i social prima di Facebook e tutti quelli nati dopo?

  • Le dimensioni del fenomeno: oggi la maggior parte delle persone che usano internet, molto più indispensabile di prima, usa i social, magari preferendo quello più diffuso fra i coetanei;
  • la presenza delle aziende, dai più noti marchi del mondo ai negozietti sotto casa, in cerca di un modo relativamente semplice ed economico per promuovere prodotti e attività.

A nuove generazioni corrispondono nuovi strumenti dominanti, che si ispirano, riprendono o proprio copiano le funzionalità dei concorrenti (quando non riescono a comprarli), ma i meccanismi fondamentali della comunicazione restano gli stessi. I social network sono in grado di ripeterli e amplificarli, nel bene e nel male.

I social oggi

Senza considerare canali come Weibo e WeChat, piattaforme diffuse perché usate dai cittadini dello stato più popoloso al mondo (la Cina), tra i social più diffusi ci sono Facebook, Instagram, TikTok, Snapchat, Pinterest, Twitter e Reddit (quello che più di tutti ha un look che ricorda i primi 2000). Piattaforme, come detto, usate come mezzo di comunicazione e svago tra privati e come canale pubblicitario da tantissime aziende. Questo particolare ha permesso la nascita di diverse nuovi mestieri, il più noto dei quali è il social media manager,e l’adattamento di figure professionali creative da sempre presenti nella comunicazione e nella pubblicità: copywriter e art director, per esempio.

Di cosa si occupa un (bravo) social media manager

Comunicare sui social è un mestiere che, come tanti altri, richiede studi e conoscenze preliminari, una formazione continua per tenersi al passo con le evoluzioni degli strumenti (spesso esponenzialmente rapide). Non è banale sottolinearlo: spesso si ripone un’eccessiva fiducia nel mezzo che si usa, dimenticandosi che la differenza la fa sempre chi lo usa.

Cosa deve fare, quindi, un bravo social media manager che lavora per un noto brand internazionale o per una piccola attività locale?

  • Studiare bene il prodotto o il servizio che il brand offre e costruire un’identità solida, riconoscibile: prendere posizione;
  • identificare i target primari e secondari (spesso non è così facile distinguerli, ma questa lettura può darci una mano);
  • scegliere il mezzo più adatto per andare incontro al proprio pubblico: non è necessario e a volte nemmeno auspicabile essere presenti ovunque, dipende dai propri obiettivi;
  • circondarsi di persone che possano mettere a punto e sviluppare con lui un racconto ben fatto, cioè chi si occupi di testi, immagini, video, gestione del budget per le campagne pubblicitarie, oppure imparare a farlo da sé. Nelle realtà più piccole, non è raro che tutte queste competenze (magari a un livello accettabile ma non apicale) siano racchiuse in una sola persona.

Strutturare una strategia di comunicazione digitale, in sostanza, è qualcosa che s’impara a partire dai classici studi di marketing: i social rappresentano il punto di arrivo e non quello di partenza. Esiste però una caratteristica che separa nettamente la comunicazione mono-direzionale di strumenti come i giornali, la televisione o la cartellonistica pubblicitaria da quella social: il rapporto diretto e continuo con la comunità.

Moderare la comunità

Comunicare con i social vuol dire essere sempre a stretto contatto con chi ci ama e chi ci odia, e una buona strategia di social media marketing deve prevedere la gestione della comunità che, più o meno spontaneamente, si crea intorno al brand.

Se può essere divertente dialogare con chi apprezza quello che facciamo, entrare in sintonia ci dà dei suggerimenti o parla bene di noi all’interno della sua bolla, più complessa può rivelarsi la gestione delle critiche (fondate o no) e delle crisi. In ogni caso, quello da cui non si può prescindere è lo studio della comunità: del linguaggio, delle abitudini, dei bisogni e dei desideri. Senza dimenticarsi mai che la comunicazione, per un brand, è funzionale ai suoi obiettivi commerciali.

Una volta scelto il target, stabiliti gli obiettivi e scelto il mezzo, bisogna curare TUTTO, senza però diventare ossessionati da nulla (crocifiggersi per un refuso). Lasciar perdere le mode e gli estremismi effimeri (un anno dopo, chi si ricorda più?) e lasciare che, eventualmente, sia il pubblico a definirti “fuori dal coro”.

Bisogna poi collegare tutto all’obiettivo finale: vendere / fornire il prodotto o servizio, riuscire a misurare i risultati. La pubblicità, stringi stringi, serve a questo, e anche se il percorso che la persona può fare non è prevedibile, lineare (per quanto con internet sia tutto più misurabile), non dobbiamo cadere nella trappola di “fare i fighi”, da un lato, e affidarsi agli “strumenti magici”, i tool che “fanno tutto da soli”.

Storie di successo (oppure no?)

Il marketing, la pubblicità, vendere prodotti e servizi online e sui social hanno un enorme vantaggio rispetto alle stesse attività offline: tutto è più tracciabile. I dati personali dei clienti e dei clienti potenziali, le loro preferenze, gli spostamenti, i clic e le visualizzazioni. Questo enorme vantaggio, però, potrebbe trasformarsi in uno svantaggio metodologico altrettanto grande: pensare che il percorso d’acquisto sia lineare, che le decisioni prese dagli “utenti”, dalle persone, siano premeditate, irrevocabili, razionali. Spesso non è così.

Siamo (anche) irrazionali, cambiamo idea, possiamo ignorare un annuncio pubblicitario per una o due volte, notarlo alla terza, cliccarci su e non comprare niente, oppure cercare direttamente su Google o Amazon quello che cerchiamo, o ancora digitare direttamente l’url dell’e-commerce che ci interessa. Per questo stesso motivo esistono gli avancassa ai supermercati.

Il fatto che tutto sia più tracciabile potrebbe permettere di definire con più precisione l’efficacia di una strategia, dal piano editoriale a lungo termine alla campagna diversa dal solito. Fra le domande che dovremmo porci non dovrebbero mai mancare:

  • quanto sono aumentate (o diminuite) le vendite del prodotto o del servizio che offre il brand?
  • in che misura è possibile collegare l’andamento positivo o negativo alla strategia di comunicazione?

Tanti sono i brand che grazie ai social sono diventati celebri o più celebri di prima; alcuni usano toni irriverenti e hanno un approccio prevalentemente tattico, cavalcano le notizie e i tormentoni usando (e talvolta abusandone) il real-time marketing (esiste forse un marketing “senza tempo”?) come Durex, Taffo o Ceres. Altri, come Skipper, sono più concentrati sul prodotto e gestiscono con discrezione l’attualità, non lasciando che il brand sia sempre fagocitato dalla battuta facile o dal trend effimero.

Altri ancora, come Unieuro, giocano sull’autoreferenzialità e sulla crescente popolarità di un mestiere come quello del social media manager, sfruttando le basilari leve della retorica e del marketing: understatement, urgenza, forti sconti. Complice l’isolamento forzato imposto dal Coronavirus e l’aumento generalizzato degli acquisti online, quest’approccio ha raggiunto lo scopo, contribuendo ad aumentare le vendite imputabili alle campagne social.

Con uno dei nostri clienti, Sebach, abbiamo scelto un approccio che riesca a trattare con ironia e leggerezza tutto quello che ruota a uno dei primari bisogni fisiologici dell’uomo e di ogni specie animale, senza scivolare nella trivialità.

Se è vero che la nostra clientela è prevalentemente B2B, rappresentata da imprese edili, attività commerciali o da chi si occupa dell’organizzazione di eventi, è anche vero che i principali fruitori del prodotto sono le persone comuni.

Persone comuni che sono curiose, alle quali raccontiamo storie e aneddoti curiosi legati a tutto ciò che ruota attorno al concetto di “bagno”: igiene e sicurezza, intimità, ad esempio

Persone comuni che amano prendere posizione sui temi a loro cari, di volta in volta al centro del dibattito mediatico o politico.

Oltre alla comunicazione via social, curiamo anche il blog di Sebach: news, rubriche tematiche, giochi di parole originali ma non stucchevoli, informazioni realmente utili che possono arricchire la cultura generale del lettore e aiutarlo a guardare il mondo da un altro punto di vista.

Quale sia il miglior approccio, in relazione al proprio business, lo dirà solo il tempo. Al di là della brand awareness, della visibilità e del fatto che se ne parli, quella che conta è la strategia a lungo termine, che resiste dove tutto scorre, invecchia o si dimentica più rapidamente.

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